Il Signore è il mio Pastore

Archivio per giugno, 2010

SANTI PIETRO E PAOLO

Due Santi fondatori

I due santi sono accomunati nella venerazione poiché ad essi si attribuisce una parte preponderante nella nascita della Chiesa: Pietro, riconosciuto da Gesù stesso come suo rappresentante in terra dopo la sua ascesa in cielo; Paolo, “Apostolo delle genti”, primo artefice della diffusione del Vangelo nel mondo.

San Pietro nel Nuovo Testamento

Perugino: Cristo consegna le chiavi a San Pietro

Se comune fu la conclusione della vita, ben diversa ne fu l’origine. Simone figlio di Giona, poi soprannominato da Gesù stesso Kefa; (in aramaico “Roccia”, da cui il greco Pétros e il latino Petrus) era un pescatore, come il fratello Andrea, sul cosiddetto mare di Galilea, cioè il lago di Genezaret. Chiamato da Gesù, lo seguì immediatamente, divenendo Apostolo, cioè “inviato”. Fu il primo a riconoscere in Gesù il Cristo, e per questo ebbe da lui il segno del primato: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16:18-19). I Vangeli sinottici, soprattutto Marco, accennano più volte ad una speciale Rivelazione affidata da Gesù a Pietro.

Albrecht Altdorfer: Pietro taglia l'orecchio al servo durante  l'arresto di Cristo

Troviamo Pietro in alcuni episodi cruciali e di grande tensione emotiva della narrazione evangelica. Con un colpo di spada tagliò un orecchio al servitore del sommo sacerdote, nella notte dell’arresto di Gesù; nella notte precedente la crocefissione, per tre volte rinnegò il Salvatore, pentendosene poi amaramente, quando il canto di un gallo gli ricordò che Gesù stesso aveva previsto la sua debolezza.

Lo ritroviamo negli Atti, che riconosce nella morte e risurrezione di Gesù l’adempimento delle scritture; salendo al tempio con Giovanni guarisce uno storpio, compiendo il primo miracolo dopo la crocefissione; infine, imprigionato da Erode Agrippa, viene liberato da un angelo: l’episodio della prigionia è ricordato in una aprticolare celebrazione di San Pietro “in Vinculis” o “ad Vincula”. Gli Atti lo ricordano anche protagonista, con Paolo, del “Concilio di Gerusalemme”, nel corso del quale si proclamò l’emancipazione dei cristiani dalla legge mosaica.

San Paolo nel Nuovo Testamento

Caravaggio: La conversione sulla via di Damasco

Saul nacque a Tarso, capitale della Cilicia, da famiglia di ebrei benestanti. In quanto cittadino romano, accompagnava al nome ebraico del primo re d’Israele quello latino di Paulus. Studiò a Gerusalemme alla scuola del maestro fariseo Gamaliele, e come ebreo osservante combatté contro la dottrina cristiana. Andando a Damasco ebbe la visione di una luce folgorante che lo fece cadere da cavallo e lo accecò, mentre una voce gli diceva “Perché mi perseguiti?” Accolto in casa di Anania, dopo pochi giorni riacquistò la vista e fu battezzato. Tentò di evangelizzare i suoi antichi compagni, ma dovette fuggire da Damasco calato in una cesta giù dalle mura cittadine. Fu accolto dagli Apostoli come loro pari, e sostenne con energia il distacco dei cristiani dalle prescrizioni della legge mosaica. In questo modo il messaggio evangelico trovò maggiore ascolto anche presso i non ebrei, per i quali la pratica della circoncisione e le norme sulla purità alimentare apparivano incomprensibili ed estranee; e fu appunto la predicazione presso i “gentili” a meritargli l’appellativo di “Apostolo delle genti”. Più volte imprigionato dai romani, alla fine il governatore Festo lo inviò, in quanto cittadino romano, a Roma, al tribunale dell’imperatore.

Il martirio

Caravaggio: Crocefissione di San Pietro

La morte dei due Apostoli non si trova nel Nuovo Testamento, ma è riportata da una tradizione concorde.

Un’antichissima tradizione vuole che gli ultimi anni di vita dei due apostoli siano trascorsi a Roma, e che lì entrambi abbiano trovato la morte.

Pietro fu ucciso probabilmente durante la persecuzione neroniana: per umiltà chiese di essere crocifisso a testa in giù, non ritenendosi degno della stessa morte di Cristo. Sul luogo della sepoltura, sul colle del Vaticano, sorse presto una cappella, che Costantino nel 324 trasformò in una grande basilica.

Paolo, in quanto cittadino romano, fu condannato alla pena meno disonorevole della decapitazione. Secondo la tradizione, il suo capo rimbalzò per terra tre volte, e in quei punti sgorgarono le Tre Fontane che ancora oggi danno il nome al luogo. Sulla sua tomba, lungo la via Ostiense, sorse poi la basilica a lui intitolata.

Patronati e iconografia

Giacomo Jaquerio: San Pietro liberato dal carcere

San Pietro è patrono di pescatori e pescivendoli; per le catene con cui fu legato, di fonditori e fabbri; dei mietitori e fabbricanti di panieri perché, come loro, “lega”; in quanto detentore delle chiavi è protettore dei portieri, nonché dei fabbricanti di serrature, e, per estensione, degli orologiai, e di altri fabbricanti di congegni di precisione; per il suo nome è patrono dei muratori.
Poiché nel confronto con Simon Mago mise in fuga i cani che questi gli aveva aizzato contro, protegge contro i morsi degli animali, gli attacchi di follia, la rabbia.
Gli attributi iconografici sono tratti dagli episodi della sua vita: in primo luogo le chiavi, poi le reti da pesca, il gallo, la croce rovesciata,le catene della prigionia. In quanto capostipite dell’autorità papale può essere rappresentato con il triregno o la croce papale a tre traverse, a significare il potere temporale, spirituale e regale.

San Paolo è patrono della Grecia e di Malta. Per essere stato sbalzato da cavallo è patrono, e converso, dei cavalieri; per aver riacquistato la vista è invocato contro la cecità. Per aver contrastato la dottrina cristiana, e poi per la sua predicazione, è patrono dei teologi. Calato in una cesta dalle mura di Damasco, è patrono dei cestai e dei cordai; poiché fu ucciso con una spada, è patrono dei fabbricanti di spade. Poiché durante il viaggio a Roma fece naufragio, e a Malta fu morso da una vipera, è invocato contro le tempeste di mare e contro il morso dei serpenti. Le raffigurazioni più frequenti lo presentano con la spada del martirio e il libro della dottrina.

SANT ANTONIO DA PADOVA

Ricordatevi, oh! ricordatevi, miracoloso Santo, che voi non avete mai lasciato di aiutare e consolare chi vi ha invocato nelle sue necessità! Animato io da una grande confidenza e dalla certezza di non pregare invano, a voi ricorro che siete tanto ricco di grazie e tanto caro a Gesù!
Eloquente predicatore dell’infinita misericordia di Dio, non rifiutate la mia preghiera, ma fate che essa giunga con la vostra intercessione al trono di Dio, affinchè io abbia aiuto e conforto nella presente mia angustia e necessità. Così sia.

SACRATISSIMO CUORE DI GESU'

SACRATISSIMO CUORE DI GESU’

VANGELO (Lc 15,3-7)

Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta

+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione». Parola del Signore

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

La Festa di oggi è un omaggio alla bontà di Gesù. Ci vuole ricordare che Gesù è Uomo-Dio e ha un Cuore come tutti gli essere umani. Mentre il Padre non ha il cuore propriamente detto, in quanto non si è incarnato. È il Cuore di Gesù a manifestarci l’Amore del Padre. Se conosci bene il Figlio, impari a conoscere anche il Padre.

Gesù si è manifestato per parlarci del Padre, quando ha operato miracoli e compiuto azioni piene di misericordia risuscitando tre morti, ci ha voluto spiegare che il Padre compie le sue stesse opere di misericordia. Dal Cuore di Gesù conosciamo l’Amore del Padre.

È una Festa che ci deve commuovere, la tenerezza di Gesù verso ognuno di noi è disarmante e poi dove trovi una persona che ti perdona sempre ed è sempre pronta ad abbracciarti anche se l’hai tradita? Solo Gesù perdona sempre e ti abbraccia ogni volta che alzi le braccia aperte verso Lui.

Però, si conosce poco il Cuore di Gesù, eppure è facile comprendere la sua bontà meditando sui miracoli che ha compiuto, gli insegnamenti misericordiosi lasciati, l’Amore che effondeva su ogni creatura. Anche sui nemici che lo accerchiavano.

Come fare allora per conoscere il Cuore di Gesù?

Occorre entrarvi dentro, prendere posto al suo interno e osservarlo. Si comprendono molte cose, si capisce anche il senso della vita e che tutti siamo chiamati a compiere grandi opere fondate sul Vangelo. D’altronde, chi erano i grandi Santi prima della conversione? Erano come noi, fragili ed incapaci di compiere opere evangeliche, poi la conversione e la conoscenza del Cuore di Gesù… e sono diventati Santi.

Non per automatismo, ma per imitazione. Hanno conosciuto le opere del Cuore di Gesù ed hanno cominciato a vivere allo stesso modo, a fare le stesse opere, fino a trasfigurarsi in Gesù. Lo hanno fatto rinnegandosi di continuo e amando tutti. Anche i cattivi.

Questo hanno fatto i Santi, che non sono solo quelli posti sugli altari e che la Chiesa presenta come modelli, Santi sono anche mamme, papà, figli e soprattutto anziani che imitano Gesù e diventano giusti, perché danno a Dio tutto l’amore che merita e agli uomini il massimo rispetto e la vera amicizia. Rifiutando giudizi, cattiverie, inganni, truffe, immoralità, corruzione.

Molte persone nel mondo vivono così nel nascondimento, conducendo una vita apparentemente normale, mentre nel loro intimo sono atomiche di amore e di verità.

Vedete come è facile cominciare il cammino di verità e di vera conversione?

Però, non basta solo iniziarlo, bisogna coltivarlo ogni giorno e mantenerlo nella Via di Gesù.

Bisogna capire innanzitutto cosa veramente ci appaga nella vita, perché se lo cerchiamo altrove, non entreremo mai nel Cuore di Gesù. Restandone fuori, non scopriremo le ricchezze e le meraviglie dei tesori lì racchiusi.

Le cose materiali non appagano ma deludono, spesso anche i migliori amici poi si mostrano poco amici. Anche in famiglia spesso si scoprono delusioni sorprendenti.

Solo Gesù non ci delude, ricordiamolo ogni giorno e per questo invochiamolo ripetutamente, parlandogli con parole vere e spontanee, per affezionarci a Lui e così trovarlo anche quando ci scopriamo più deboli ed incapaci di risolvere i nostri quesiti mentali.


Recitiamo ogni giorno la famosa e potente Coroncina al Sacro Cuore di Gesù.

1. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, chiedete ed otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto!”, ecco che io picchio, io cerco, io chiedo la Grazia…
· 1 Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in Te.
2. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, Egli ve la concederà!”, ecco che al Padre tuo, nel tuo nome, io chiedo la Grazia…
· 1 Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in Te.
3. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole mai!”, ecco che, appoggiato all’infallibilità delle tue sante parole, io chiedo la Grazia…
· 1 Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in Te.
O Sacro Cuore di Gesù, cui è impossibile non avere compassione degli infelici, abbi pietà di noi miseri peccatori, ed accordaci le Grazie che ti domandiamo per mezzo dell’Immacolato Cuore di Maria, tua e nostra tenera Madre.
· S. Giuseppe, Padre putativo del Sacro Cuore di Gesù, prega per noi.
Salve o Regina

Padre Giulio Maria (info@gesuemaria.it)

Omelia a conclusione dell’Anno Sacerdotale

11 giugno 2010

Omelia a conclusione dell’Anno Sacerdotale

«Comprendere la bellezza del ministero sacerdotale»

Cari confratelli nel ministero sacerdotale,
Cari fratelli e sorelle,
l’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale. Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui.

Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola «sacerdozio». Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi: è ciò che in quest’anno volevamo nuovamente considerare e comprendere. Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci sostenga giorno per giorno.

Volevamo così anche mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro «sì». Insieme alla Chiesa volevamo nuovamente far notare che questa vocazione la dobbiamo chiedere a Dio. Chiediamo operai per la messe di Dio, e questa richiesta a Dio è, al tempo stesso, un bussare di Dio al cuore di giovani che si ritengono capaci di ciò di cui Dio li ritiene capaci. Era da aspettarsi che al «nemico» questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo.

E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario. Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino, affinché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita.

Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore. Così consideriamo quanto è avvenuto quale compito di purificazione, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio. In questo modo, il dono diventa l’impegno di rispondere al coraggio e all’umiltà di Dio con il nostro coraggio e la nostra umiltà. La parola di Cristo, che abbiamo cantato come canto d’ingresso nella liturgia, può dirci in questa ora che cosa significhi diventare ed essere sacerdoti: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).

Celebriamo la festa del Sacro Cuore di Gesù e gettiamo con la liturgia, per così dire, uno sguardo dentro il cuore di Gesù, che nella morte fu aperto dalla lancia del soldato romano. Sì, il suo cuore è aperto per noi e davanti a noi – e con ciò ci è aperto il cuore di Dio stesso. La liturgia interpreta per noi il linguaggio del cuore di Gesù, che parla soprattutto di Dio quale pastore degli uomini, e in questo modo ci manifesta il sacerdozio di Gesù, che è radicato nell’intimo del suo cuore; così ci indica il perenne fondamento, come pure il valido criterio, di ogni ministero sacerdotale, che deve sempre essere ancorato al cuore di Gesù ed essere vissuto a partire da esso.

Vorrei oggi meditare soprattutto sui testi con i quali la Chiesa orante risponde alla Parola di Dio presentata nelle letture. In quei canti parola e risposta si compenetrano. Da una parte, essi stessi sono tratti dalla Parola di Dio, ma, dall’altra, sono al contempo già la risposta dell’uomo a tale Parola, risposta in cui la Parola stessa si comunica ed entra nella nostra vita. Il più importante di quei testi nell’odierna liturgia è il Salmo 23 (22) – “Il Signore è il mio pastore” –, nel quale l’Israele orante ha accolto l’autorivelazione di Dio come pastore, e ne ha fatto l’orientamento per la propria vita. “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”: in questo primo versetto si esprimono gioia e gratitudine per il fatto che Dio è presente e si occupa di noi. La lettura tratta dal Libro di Ezechiele comincia con lo stesso tema: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (Ez 34,11). Dio si prende personalmente cura di me, di noi, dell’umanità. Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo ed in una società davanti a cui si rimane sempre più disorientati. Egli si prende cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale la mia vita conterebbe troppo poco. Le religioni del mondo, per quanto possiamo vedere, hanno sempre saputo che, in ultima analisi, c’è un Dio solo. Ma tale Dio era lontano. Apparentemente Egli abbandonava il mondo ad altre potenze e forze, ad altre divinità. Con queste bisognava trovare un accordo.

Il Dio unico era buono, ma tuttavia lontano. Non costituiva un pericolo, ma neppure offriva un aiuto. Così non era necessario occuparsi di Lui. Egli non dominava. Stranamente, questo pensiero è riemerso nell’Illuminismo. Si comprendeva ancora che il mondo presuppone un Creatore. Questo Dio, però, aveva costruito il mondo e poi si era evidentemente ritirato da esso. Ora il mondo aveva un suo insieme di leggi secondo cui si sviluppava e in cui Dio non interveniva, non poteva intervenire. Dio era solo un’origine remota. Molti forse non desideravano neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la premura e l’amore di Dio vengono percepiti come disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me. “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14), dice la Chiesa prima del Vangelo con una parola del Signore. Dio mi conosce, si preoccupa di me. Questo pensiero dovrebbe renderci veramente gioiosi. Lasciamo che esso penetri profondamente nel nostro intimo. Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini. Come sacerdoti, vogliamo essere persone che, in comunione con la sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto questa premura di Dio. E, riguardo all’ambito a lui affidato, il sacerdote, insieme col Signore, dovrebbe poter dire: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. “Conoscere”, nel significato della Sacra Scrittura, non è mai soltanto un sapere esteriore così come si conosce il numero telefonico di una persona. “Conoscere” significa essere interiormente vicino all’altro. Volergli bene. Noi dovremmo cercare di “conoscere” gli uomini da parte di Dio e in vista di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro sulla via dell’amicizia di Dio.

Ritorniamo al nostro Salmo. Lì si dice: “Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (23 [22], 3s). Il pastore indica la strada giusta a coloro che gli sono affidati. Egli precede e li guida. Diciamolo in maniera diversa: il Signore ci mostra come si realizza in modo giusto l’essere uomini. Egli ci insegna l’arte di essere persona. Che cosa devo fare per non precipitare, per non sperperare la mia vita nella mancanza di senso? È, appunto, questa la domanda che ogni uomo deve porsi e che vale in ogni periodo della vita. E quanto buio esiste intorno a tale domanda nel nostro tempo! Sempre di nuovo ci viene in mente la parola di Gesù, il quale aveva compassione per gli uomini, perché erano come pecore senza pastore. Signore, abbi pietà anche di noi! Indicaci la strada! Dal Vangelo sappiamo questo: Egli stesso è la via. Vivere con Cristo, seguire Lui – questo significa trovare la via giusta, affinché la nostra vita acquisti senso ed affinché un giorno possiamo dire: “Sì, vivere è stata una cosa buona”. Il popolo d’Israele era ed è grato a Dio, perché Egli nei Comandamenti ha indicato la via della vita. Il grande Salmo 119 (118) è un’unica espressione di gioia per questo fatto: noi non brancoliamo nel buio. Dio ci ha mostrato qual è la via, come possiamo camminare nel modo giusto. Ciò che i Comandamenti dicono è stato sintetizzato nella vita di Gesù ed è divenuto un modello vivo. Così capiamo che queste direttive di Dio non sono catene, ma sono la via che Egli ci indica. Possiamo essere lieti per esse e gioire perché in Cristo stanno davanti a noi come realtà vissuta. Egli stesso ci ha resi lieti. Nel camminare insieme con Cristo facciamo l’esperienza della gioia della Rivelazione, e come sacerdoti dobbiamo comunicare alla gente la gioia per il fatto che ci è stata indicata la via della vita.

C’è poi la parola concernente la “valle oscura” attraverso la quale il Signore guida l’uomo. La via di ciascuno di noi ci condurrà un giorno nella valle oscura della morte in cui nessuno può accompagnarci. Ed Egli sarà lì. Cristo stesso è disceso nella notte oscura della morte. Anche lì Egli non ci abbandona. Anche lì ci guida. “Se scendo negli inferi, eccoti”, dice il Salmo 139 (138). Sì, tu sei presente anche nell’ultimo travaglio, e così il nostro Salmo responsoriale può dire: pure lì, nella valle oscura, non temo alcun male. Parlando della valle oscura possiamo, però, pensare anche alle valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova, che ogni persona umana deve attraversare. Anche in queste valli tenebrose della vita Egli è là. Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce.

“Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”: il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano anche nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore.

Alla fine del Salmo si parla della mensa preparata, dell’olio con cui viene unto il capo, del calice traboccante, del poter abitare presso il Signore. Nel Salmo questo esprime innanzitutto la prospettiva della gioia per la festa di essere con Dio nel tempio, di essere ospitati e serviti da Lui stesso, di poter abitare presso di Lui. Per noi che preghiamo questo Salmo con Cristo e col suo Corpo che è la Chiesa, questa prospettiva di speranza ha acquistato un’ampiezza ed una profondità ancora più grandi. Vediamo in queste parole, per così dire, un’anticipazione profetica del mistero dell’Eucaristia in cui Dio stesso ci ospita offrendo se stesso a noi come cibo – come quel pane e quel vino squisito che, soli, possono costituire l’ultima risposta all’intima fame e sete dell’uomo. Come non essere lieti di poter ogni giorno essere ospiti alla mensa stessa di Dio, di abitare presso di Lui? Come non essere lieti del fatto che Egli ci ha comandato: “Fate questo in memoria di me”? Lieti perché Egli ci ha dato di preparare la mensa di Dio per gli uomini, di dare loro il suo Corpo e il suo Sangue, di offrire loro il dono prezioso della sua stessa presenza. Sì, possiamo con tutto il cuore pregare insieme le parole del Salmo: “Bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita” (23 [22], 6).

Alla fine gettiamo ancora brevemente uno sguardo sui due canti alla comunione propostici oggi dalla Chiesa nella sua liturgia. C’è anzitutto la parola con cui san Giovanni conclude il racconto della crocifissione di Gesù: “Un soldato gli trafisse il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19,34). Il cuore di Gesù viene trafitto dalla lancia. Esso viene aperto, e diventa una sorgente: l’acqua e il sangue che ne escono rimandano ai due Sacramenti fondamentali dei quali la Chiesa vive: il Battesimo e l’Eucaristia. Dal costato squarciato del Signore, dal suo cuore aperto scaturisce la sorgente viva che scorre attraverso i secoli e fa la Chiesa. Il cuore aperto è fonte di un nuovo fiume di vita; in questo contesto, Giovanni certamente ha pensato anche alla profezia di Ezechiele che vede sgorgare dal nuovo tempio un fiume che dona fecondità e vita (Ez 47): Gesù stesso è il tempio nuovo, e il suo cuore aperto è la sorgente dalla quale esce un fiume di vita nuova, che si comunica a noi nel Battesimo e nell’Eucaristia.

La liturgia della Solennità del Sacro Cuore di Gesù prevede, però, come canto di comunione anche un’altra parola, affine a questa, tratta dal Vangelo di Giovanni: Chi ha sete, venga a me. Beva chi crede in me. La Scrittura dice: “Sgorgheranno da lui fiumi d’acqua viva” (cfr Gv 7,37s). Nella fede beviamo, per così dire, dall’acqua viva della Parola di Dio. Così il credente diventa egli stesso una sorgente, dona alla terra assetata della storia acqua viva. Lo vediamo nei santi. Lo vediamo in Maria che, quale grande donna di fede e di amore, è diventata lungo i secoli sorgente di fede, amore e vita. Ogni cristiano e ogni sacerdote dovrebbero, a partire da Cristo, diventare sorgente che comunica vita agli altri. Noi dovremmo donare acqua della vita ad un mondo assetato. Signore, noi ti ringraziamo perché hai aperto il tuo cuore per noi; perché nella tua morte e nella tua risurrezione sei diventato fonte di vita. Fa’ che siamo persone viventi, viventi dalla tua fonte, e donaci di poter essere anche noi fonti, in grado di donare a questo nostro tempo acqua della vita. Ti ringraziamo per la grazia del ministero sacerdotale. Signore, benedici noi e benedici tutti gli uomini di questo tempo che sono assetati e in ricerca. Amen.

Il perdono

Ti perdono nemico , perche’ solo così io mi libero dal male che tu vorresti lanciarmi addosso e far cadere su di me . No . Io conosco la Legge e non cado nel tranello come tanti illusi . Io so’ di essere libero . Non accetto di legarmi a te con vincoli di odio e di vendetta.  Non accetto il male che tu vorresti infliggermi perche’ sono libero . Perdonandoti io lo lascio ricadere su di te perche’ e’ generato da te . Se io reagissi rioffendendoti diventerei non piu’ creditore davanti a te ma debitore . Tu mi terresti imprigionato a te finche’ io non saldo il debito di fronte alla Legge Divina . Legati pure tu con chi accetta il tuo attacco . Io col perdono me ne sciolgo . Tu nulla puoi su di me che io stesso non voglia . Tutto cio’ che tu fai ricadra’ su di te ,perche’ fatto da te ,e non su di me se non nella misura in cui avro’ fatto da me . Ho il dovere di soccorrerti in questo pericolo che corri . Perche’ per quanto io soffra e perdoni nulla potro’ contro le conseguenze del tuo operato  e tu dovrai inesorabilmente pagare per il tuo errore . Ricorda…. non colpisci me…. stai colpendo te stesso …..Perche’ io fratello… ti perdono .

(tratta da un blog e firmata da VehuelRossoCuore)

MESSAGGIO MEDJUGORJE 2 GIUGNO

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 2 giugno 2010

giugno mese dedicato al SACRO CUORE DI GESU'

CORONCINA AL SACRO CUORE DI GESÙ

1. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, chiedete ed otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto!”, ecco che io picchio, io cerco, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

2. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, Egli ve la concederà!”, ecco che al Padre tuo, nel tuo nome, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

3. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole mai!”, ecco che, appoggiato all’infallibilità delle tue sante parole, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

O Sacro Cuore di Gesù, cui è impossibile non avere compassione degli infelici, abbi pietà di noi miseri peccatori, ed accordaci le grazie che ti domandiamo per mezzo dell’Immacolato Cuore di Maria, tua e nostra tenera Madre.
· S. Giuseppe, padre putativo del S. Cuore di Gesù, prega per noi.

Recitare Salve o Regina

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